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Partito

Renzi ha sbagliato a mettere la fiducia sulla nuova legge elettorale e la sinistra del Pd ha sbagliato a non votarla.

Un paradosso? Può essere, ma cerco di spiegarmi.
Renzi, certo, ha vinto il Congresso e le primarie, ma questo non gli consegna il diritto di prevaricare su una larga parte del Parlamento che intende migliorare il testo di una  legge fondamentale come quella destinata ad assicurare governabilità e, insieme, rappresentanza.
Ma anche la sinistra Pd dovrebbe sapere che il rifiuto della fiducia al proprio Governo, che la richiede su un provvedimento ritenuto irrinunciabile, è oggettivamente e politicamente un atto di rottura del vincolo fiduciario con l’Esecutivo. Certo ci possono essere questioni di coscienza (ma non mi sembra questo il caso), ovvero questioni di rilevanza costituzionale (e allora bisogna sapere che un voto in dissenso dal proprio gruppo non può non avere conseguenze politiche anche gravi sulla tenuta della maggioranza e dello stesso Pd).
In ogni caso,  è evidente che Renzi ha cercato lo scontro e la radicalizzazione del confronto.
Con il venir meno dell’accordo del “nazareno”, infatti, si poteva trovare una nuova sintesi nella maggioranza e nel Pd e votare la legge nel giro di un mese con una più ampia condivisione. Ma è altrettanto chiaro che motivare il rifiuto della fiducia, come hanno fatto gli esponenti della minoranza, con il rischio di derive autoritarie e antidemocratiche, rende meno sostenibile la condivisione di un  comune  progetto politico nel Pd e mette a repentaglio la sua stessa prospettiva unitaria. Credo che una buona parte dell’elettorato democratico non comprenda le ragioni di queste divisioni e vorrebbe un partito più coeso e più capace di incalzare e sostenere un Governo più concretamente impegnato sulle questioni sociali e del lavoro, sui temi della legalità, della crescita, del contrasto della povertà. Si può fermare questa deriva prima che sia troppo tardi e fare uno sforzo per ritrovare le ragioni comuni di una sinistra più coraggiosa e coerente?
Una torsione personalistica della natura del Pd, schiacciata sulla figura del Premier o dei suoi avversari interni, rischia di alimentare una spirale dissolutoria difficilmente arrestabile. Bisogna fermarla prima che sia troppo tardi, prima che uno spirito autodistruttivo prenda la mano ai gruppi dirigenti.

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