Le Acli ancora una volta vanno a congresso. E anche questa volta lo fanno in un momento difficile e con una promessa di rigenerazione e di rilancio molto ambiziosa.
Si è avviata una ricerca per esplorare le condizioni di un orizzonte in cui creatività spirituale e passione politica possano ancora ispirarne l’impegno nel mondo del lavoro, nei luoghi vitali delle comunità locali, nelle istituzioni della democrazia partecipata e nelle vicende della Chiesa.
Credo, senza retorica, si tratti di una scadenza decisiva per il futuro dell’associazione.
Per questo mi permetto di utilizzare questo spazio di dialogo e confronto per esprimere qualche valutazione.
In genere gli ex evitano di farlo, per garbo e discrezione istituzionale, dunque cercherò di essere prudente, nella speranza di non abusare della vostra pazienza e di non tradire la vostra generosità.
D’altra parte non ho altre possibilità. Un tempo i convegni di studio, i grandi eventi nazionali di confronto e discussione erano aperti anche alla partecipazione dei “reduci ” o dei “riservisti” di un qualche riguardo, ormai fuori dagli organismi dirigenti e lontani dalle turbolenze dell’associazione, ma ad essa ancora legati da un vincolo di identità e di affezione, riconosciuto dai più e, a volte, anche apprezzato. Un tempo… Poi è successo qualcosa e il filo della comunicazione con l’associazione si è allentato, le porte si sono chiuse, i rapporti sono diventati difficili e occasionali. Nessun risentimento, per carità, ma non posso negare il crescente disagio e forse anche la nostalgia per un Movimento che ha generato e accompagnato la mia vocazione politica, nel quale mi sono formato e dal quale ho imparato i fondamentali di un investimento nella vita pubblica durato tanto a lungo.
Le Acli mi sono mancate, lo confesso. Agli amici con cui ho mantenuto un qualche rapporto ho cercato di spiegare e da loro ho cercato anche di capire. Ma non è cambiato molto. In ogni caso sono ancora qui, sulla linea di confine “dentro/fuori”, per curiosare e cercare di cogliere ancora qualche buona occasione per riflettere, imparare, riconoscere.
Proprio per questo, alla vigilia di un congresso sicuramente carico di potenzialità, mi permetto di segnalare una certa preoccupazione, per il futuro dell’associazione.
Le Acli attraversano un momento difficile, come il sindacato, come tante formazioni della società civile e come tutti quei soggetti nati nel secolo scorso con una missione di tutela e di promozione del lavoro e che ora stanno facendo fatica a comprendere i cambiamenti epocali che investono quel mondo e la società nel suo complesso. Soggetti importanti e credibili, ma che stentano a rinnovarsi e a rilanciare la missione delle origini con nuove proposte e linguaggi più comprensibili ed efficaci.
Il rischio, in particolare per tutti quei soggetti che si riferiscono all’alveo del cattolicesimo sociale e democratico, è quello di un lento ma inesorabile declino, una perdita progressiva di soggettività culturale e politica, un’imperdonabile autoriduzione delle ambizioni e degli spazi d’azione. Mai come in questi ultimi anni il perimetro entro il quale quei soggetti hanno circoscritto la propria proiezione esterna è apparso tanto riduttivo e irrilevante. Si è mortificato lo spirito critico, si è increspata la capacità di ascolto nei luoghi sensibili della sofferenza sociale e della innovazione culturale, si è archiviata la formazione, si è investito nella produzione di Servizi e imprese sociali spesso in una logica prevalentemente produttivistica o corporativa (nel caso del sindacato) priva di una visione ideale e valoriale di un qualche respiro. L’ansia delle opere, alimentata dalla proliferazione senza controllo di sigle societarie locali in ogni ambito dei sistemi associativi ha prevalso sull’anima generativa e sulla vocazione formativa, mortificando, spesso, la natura prevalentemente sociale e volontaristica di molti gruppi e associazioni. La gestione ha prevalso sulla promozione, il formale sull’informale, la rigidità normativa e finanziaria dell’impresa sulla creatività sociale e sul mutualismo solidale. Giovanni Bianchi avrebbe spiegato che l’anima produttiva si è mangiata quella creativa e generativa.
Non ci sono qui le condizioni per approfondire e, dunque, mi limito a fare ancora poche ed essenziali osservazioni.
1. Il tema di un rilancio dell’azione e del ruolo delle Acli riguarda l’insieme del cattolicesimo sociale e democratico, che vive una stagione di afasia politica, di immobilismo culturale e di ridotta creatività spirituale. Indagare le ragioni di questa crescente difficoltà mi sembra una priorità importante.
2. Le difficoltà dell’associazionismo cattolico, credo siano da ricondurre ad una crisi di senso, di modello e di classe dirigente.
Servono idee nuove, modalità organizzative più flessibili e vitali, una rinnovata capacità di promuovere (dall’interno) o attrarre (dall’esterno) nuova classe dirigente, di formarla e di proiettarla, quando e se occorre, nel presidio responsabile delle istituzioni democratiche.
3. Vedo in giro poca discussione di merito e molto antagonismo interpersonale, (la vicenda di Marco Bentivogli nella Cisl, quella dell’Mcl con un nuovo presidente venuto da fuori per scalzare quello che c’era da vent’anni, e, diciamolo, i laceranti conflitti al vertice delle Acli che durano da tempo, segnalano difficoltà inedite e profonde). Il confronto sulle idee si è infragilito e si è inasprita le conflittualità sugli assetti organizzativi/normativi e sulle posizioni apicali. Trova sempre più spazio un certo moderatismo di ritorno sulla crisi della democrazia e uno spirito rinunciatario sui nuovi caratteri della questione sociale. Si è avvertita una crescente indifferenza culturale sulle vicende delle comunità locali, e un eccesso di zelo nei rapporti con la politica nazionale.
La riforma del Terzo settore, che ha tanti meriti e aspetti positivi, ha forse indotto i soggetti coinvolti a concentrare l’impegno sugli aggiornamenti delle forme e delle modalità d’azione piuttosto che sui valori e sui contenuti della missione sociale.
4. Infine, in un frangente di difficoltà così grandi e alla vigilia di una fase in cui si dovranno ridisegnare le linee di sviluppo post Covid per l’Italia e per l’Europa, con una quantità di risorse economiche a disposizione degli Stati mai vista prima, la domanda più utile da porsi, forse, potrebbe essere quella di quale contributo possano dare i soggetti associativi di promozione sociale a questo “rinascimento” e a questa “ricostruzione”. Sapendo che non tocca solo ai partiti e alle forze economiche indicare le vie e le soluzioni per migliorare la vita delle nostre comunità.
Dunque, in buona sostanza, mi chiedo con rispetto per tutti e grande umiltà, se non sarebbe meglio discutere di meno dei problemi interni alle organizzazioni e di più di quelli della vita reale delle persone e delle famiglie, con un’attenzione particolare per gli ultimi, come ci invita a fare con spirito profetico e passione evangelica Francesco, il Papa del coraggio e di una nuova fraternità sociale.
Spero davvero che il nuovo gruppo dirigente che risulterà legittimato dal prossimo congresso nazionale sappia accogliere l’ispirazione straordinaria della nuova enciclica, dedicata alla fraternità e all’amicizia sociale, voglia “mettere al servizio del bene per alimentare ciò che è buono” una associazione ancora fortemente radicata e accreditata nel tessuto popolare italiano e internazionale, con la sua forte ispirazione religiosa, il suo consolidato profilo laicale, la sua politicità, le sue idee, le sue proposte, le sue opere, la sua trama plurale di promotori sociali e di animatori di comunità, di militanti e di operatori dei Servizi, di amministratori locali e di cooperatori. Un’associazione che da troppo tempo attende l’avvento di un gruppo dirigente coeso, affidabile e riconosciuto, capace di unire, di promuovere energie innovative, rappresentare con autorevolezza le istanze associative sulla scena pubblica, indicare orizzonti di senso praticando l’etica della responsabilità e del coraggio.
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