La mia relazione all’incontro-seminario del 22 gennaio 2014 all’hotel Nazionale
Nel poco tempo trascorso dalla sua elezione, Papa Francesco ha cambiato profondamente la percezione globale della Chiesa. E siamo solo all’inizio. Il cammino di un Pontefice che potrebbe rivoluzionare la vita della Chiesa e il suo rapporto con la storia e con il mondo, infatti, è appena cominciato.
I segni di una novità importante, però, ci sono già tutti. Dobbiamo comprenderne il significato, la portata, il senso.
Siamo di fronte a uno stile inedito, di semplicità e di coraggio, a un linguaggio forte e diretto, che parla con le parole del Vangelo piuttosto che della dottrina, a una sensibilità audace, che afferma il primato della coscienza e si oppone all’uso ideologico del cristianesimo compiuto dai conservatori in questi anni.
La forza di un messaggio che denuncia la globalizzazione dell’indifferenza, le nuove schiavitù del denaro e le diseguaglianze come condizione dello sviluppo, è davvero senza precedenti.
Come sappiamo bene, la Parola è centrale nel cristianesimo e nelle religioni del Libro. Ma non la parola forbita e codificata, ma quella che scaturisce dalla vita e dalla fatica degli uomini, che permette la relazione, il riconoscimento dell’altro, del sofferente, dell’umile, del perseguitato.
Francesco è ripartito dal lavoro, dalla dignità dell’uomo, dalla centralità degli ultimi e dei piccoli, dal dramma dell’emigrazione, dalle discriminazioni di ogni genere, e sta cercando con tutte le sue forze di ancorare la Chiesa alla vita del popolo, facendo leva sulla domanda di giustizia, di solidarietà, di fraternità.
Questo è il senso della sua visita a Lampedusa, al centro Astalli dei Gesuiti per i rifugiati, a Cagliari con i lavoratori, o in Brasile con i giovani.
La Chiesa che ha in mente Bergoglio è innanzitutto “madre e pastora”, che genera e accompagna, facendosi carico delle persone per come sono e a partire dalla loro condizione esistenziale.
Nell’intervista alla Civiltà Cattolica, dice: “Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo la battaglia”, “…le persone vanno accompagnate, le ferite vanno curate.” Da queste parole emerge un orizzonte chiaro: il ritratto di una Chiesa capace di accostare ogni uomo e di camminargli accanto, che non significa affatto adattarsi o cedere allo spirito del mondo. Significa avere fiducia nelle persone, nelle comunità, nel popolo. Fidarsi.
“Quando la Chiesa, occupata in mille cose trascura la vicinanza, se ne dimentica e comunica solo con documenti, è come una mamma che comunica con suo figlio per lettera.”
Francesco respinge la pratica dell’ingerenza spirituale nella vita delle persone, sulla base della convinzione che la verità del Vangelo non è mai assoluta, perché non è mai slegata dalla relazione. Ciascuno può cogliere la verità del Vangelo e può esprimerla a partire dalla propria storia, dalla propria cultura, dalla propria condizione esistenziale.
Quando il Papa nega quella che lui chiama ingerenza spirituale, vuol dire una cosa davvero molto importante: la Chiesa deve esprimere liberamente il proprio pensiero e deve farlo dialogando con una libertà personale che va rispettata: proprio perché la verità del cristianesimo dialoga con la libertà. “Accompagnare il gregge – dice Francesco nell’intervista alla Civiltà cattolica – significa anche fidarsi del fatto che esso ha il fiuto per trovare nuove strade.”
Nella lettera a Eugenio Scalfari e nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium tutto questo è risultato molto chiaro.
Abbiamo letto tutti quanto fosse netta la volontà di chiudere con il martellamento dei precetti nella vita pubblica, con la tendenza degli Uffici di Curia a trasformarsi in organismi di censura, con il lamento su “come va il mondo barbaro”, con l’ostinazione a ridurre la fede ad un’ideologia tra le altre. “Il Vangelo si altera chimicamente – ci ricorda Francesco- trasformandosi in ideologia nel momento in cui si vuole invece restringere la sua potenza sorgiva a un contesto culturale, sociale o politico.”
Siamo tutti un po’ spiazzati. Noi lo siamo positivamente. Ma ai vertici della Chiesa italiana sembra emergere un di più di “imbarazzo” e diffidenza, un silenzioso e implicito sconcerto. Torneremo su questo punto, credo, nel corso di questo seminario, ma sia dai testi di Francesco che dalle scelte più significative di questo inizio di pontificato, emerge l’idea di una Chiesa assai diversa da quella alla quale ci hanno abituato i documenti e i pronunciamenti della Conferenza episcopale italiana dell’era “ruiniana”.
Fortunatamente, adesso, la presenza dei cattolici in politica centrata sui valori irrinunciabili, o non negoziabili, non esiste più.
Per Francesco, il prete di strada che ha preso il nome del Santo che parlava con i poveri e con tutte le creature, non possono esistere principi non negoziabili se non quelli dell’amore del prossimo , della carità, della misericordia. “Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere.” Bisogna invece concentrarsi “sull’essenziale, su ciò che è più bello” ci dice.
L’idea sostenuta in questi anni, di una lobby trasversale di cattolici, in grado di sostenere nei diversi partiti una linea di difesa di questi valori particolari, si è, da un lato, rivelata pagante dal punto di vista del contrasto delle possibili innovazioni legislative sulle materie eticamente sensibili, ma, dall’altro, profondamente sbagliata da quello della rilevanza politica su temi come l’equità, il lavoro, la famiglia. Con il non lusinghiero risultato, che la presenza politica dei cattolici è risultata strumentalmente significativa per inibire la possibilità del dialogo parlamentare su argomenti importanti come le unioni civili, il testamento biologico, la fecondazione assistita, e assolutamente irrilevante per le politiche sociali, le riforme democratiche, la costruzione di una nuova etica civile.
“Per i cristiani – dice Francesco – si tratta di avviare processi più che di occupare spazi.” In fondo, l’immagine evangelica del lievito che fermenta la pasta è l’icona di un processo ormai in corso.
In un articolo recente su L’Unità, Claudio Sardo segnala come, con il nuovo Papa, si sia prodotta una rottura importante nella consolidata cultura del cattolicesimo democratico e sociale: Francesco non parla di partiti cristiani o di ispirazione religiosa, di mediazione tra valori e opzioni politiche preferenziali, di programmi o agende della politica, di unità politica, culturale o sociale dei cattolici impegnati per il bene comune. La sua separazione dalla politica non tollera, certo disimpegni, ma neppure integralismi.
La politica resta un’espressione della carità, la più alta (come ci ricorda il Concilio), e i cristiani devono occuparsene in quanto cittadini, non in forme separate, sulle frontiere più difficili dove la libertà e la dignità dell’uomo sono minacciate dalla povertà, dalla disoccupazione, dalla economia che uccide, dal dominio dell’avidità e del profitto.
Tutto ciò ci sollecita la ripresa di un pensiero critico sulla storia e sulla società (parole di rottura), di uno sguardo severo sulle cose del mondo, di una speranza che sollecita e promuove il cambiamento e la partecipazione, di una consapevolezza che i cristiani in Occidente non abbiano la loro naturale collocazione nell’area conservatrice o moderata.
Ricordo la bellissima affermazione di Pietro Scoppola: “I cattolici italiani non sono più alla ricerca di una democrazia cattolica, ma di una forma più alta di democrazia, di una democrazia di tutti.”
La realtà politica per Francesco non è mai il Regno di Dio in terra e il Regno di Dio non si identifica mai con la politica che “passa il convento”.
Questo seminario ha lo scopo, dunque, di aiutarci a riflettere su questa straordinaria novità di Papa Francesco, di avviare una ricerca e una discussione sulle sfide di questo nuovo “Vescovo di Roma”, come egli ama definirsi, che non riguardano solo i credenti, come dimostra la lettera inviata al fondatore del quotidiano La Repubblica. Nella sinistra si è discusso poco, o, forse, non si è discusso affatto. E questo non è un bene, perché, la sinistra in Italia senza le sensibilità, la presenza e il contributo del patrimonio culturale, sociale e politico del cristianesimo e della sua storia, non potrebbe esistere, o sarebbe assai diversa da quella che conosciamo o che, in parte, desideriamo che diventi. Questa difficoltà è, forse, anche il sintomo di una crisi culturale della sinistra italiana, investita e debilitata da un processo di secolarizzazione ideale e intellettuale che ne ha ridotto, non poco, forza e capacità attrattive. Il dialogo tra Francesco e Scalfari è rimasto confinato, purtroppo, nelle pagine di Repubblica e ha trovato riscontro su L’Unità soltanto per merito di Claudio Sardo, di Domenico Rosati e di pochi altri. Starei per dire…gli addetti ai lavori.
Nel Pd non vi è alcun riscontro.
Io credo, quindi, che occorra recuperare e che si debbano promuovere, anche tra i democratici, opportunità e occasioni utili per discutere e approfondire i temi di quel dialogo, il senso, i contenuti e le novità del messaggio di Francesco.
È importante che tutti coloro che sono animati dalla passione autentica per un cambiamento, fondato sui valori della giustizia sociale, della libertà, della solidarietà, dell’uguaglianza, della legalità, sappiano valutare e comprendere la portata liberatrice e innovatrice della fede cristiana, vissuta in una dimensione di laicità adulta e responsabile. E, quindi, sappiano cogliere, con serietà e rigore, la straordinaria sfida profetica del Papa che viene dalla “fine del mondo”.
La speranza e l’augurio che esprimo in apertura di questo incontro, sono che la nostra discussione possa rappresentare un primo passo significativo in tal senso.
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